Viaggio al Confine orientale 2018
È la mattina del 5 ottobre e sta per iniziare il nostro viaggio verso la Bosnia-Erzegovina. La strada da percorrere è lunga, ma tutti noi 75, tra ragazzi e insegnanti delle scuole Ulivi, Romagnosi, Marconi e Sanvitale, accompagnati dalle due guide Alberto Rossi e Carlo Ugolotti dell’Istituto storico di Parma, siamo curiosi di conoscere e provare a comprendere meglio la storia della Bosnia e la «guerra dei dieci anni».
La prima tappa è Mostar, dove iniziamo a rapportarci con la multiculturalità, che contraddistingue questo Paese, ammirando dal basso lo Stari most: il ponte, abbattuto dalle forze croato-bosniache nel 1993, ma poi ricostruito alla fine della guerra, che simboleggiava e permetteva l’unione fra i quartieri musulmano bosniaco e croato cattolico. Camminando nella città iniziamo a percepire un clima che ci accompagnerà durante tutto il viaggio: tristezza e tensione sono visibili nei palazzi segnati dalle granate, ma anche rinascita e speranza nelle persone che si muovono e lavorano per le strade.
La sera incontriamo tre testimoni, ex prigionieri di campi di concentramento, ognuno di etnia diversa, ma legati fra loro dalla stessa drammatica esperienza, che ci raccontano, dandoci modo di avvinarci a comprendere più a fondo la complessità della guerra nei Balcani, ma soprattutto di riflettere su temi non lontani dalla nostra attualità.
La seconda tappa è Sarajevo: la mattina camminiamo per il centro e vediamo il primo cimitero musulmano, e uno dei tanti che vivono nella città; poi raggiungiamo la Vje?nica, l’imponente ex libreria bruciata nella notte tra il 25 ed il 26 agosto 1992 con il suo milione e mezzo di volumi, che si affaccia sul fiume Milijacka. Dalla libreria iniziamo a percorrere la cosiddetta strada dei cecchini, dove numerosi sono i segni delle granate sulla superficie dei palazzi e per terra, che trasmettono un tale senso di inquietudine per questa guerra lacerante che sembra quasi essere vicina. Sulla via osserviamo molti siti importanti come il luogo in cui fu ucciso l’arciduca Francesco Ferdinando, il palazzo-hotel dell’Holiday Inn, e raggiungiamo infine i musei storico e nazionale di Sarajevo.
Durante la sera incontriamo il generale serbo Jovan Divjak, il quale ci racconta della sua esperienza e di come combatté in difesa «della Bosnia e dei bambini». Questo appuntamento ci lascia con molte domande, ma le parole del generale ci lasciano soprattutto riflettere sul tema dell’identità: «Ognuno di noi ha una sola identità?»; «è possibile superare la propria appartenenza etnica per stare da una parte che si ritiene più giusta?».
L’ultima tappa è Srebrenica, teatro del più grande genocidio in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Ci fermiamo con il pullman a Potocari dove visitiamo il memoriale e l’area museale assistiti da un ex profugo di guerra, Irvin Mujcic’. Più di ottomila sono i morti, ma solo poco più di seimila le salme ritrovate dopo questo atroce avvenimento del 1995.
Il ritorno ci lascia, forse, con più domande che risposte, perché abbiamo compreso che la guerra nei Balcani non è una guerra semplice ma complessa, nella quale i buoni e i cattivi non si distinguevano in base all’etnia e i ruoli si mescolavano, causando la morte dei civili di ogni appartenenza, in quello che è stato uno degli scontri più atroci e recenti nel continente Europa, ma del quale non si è mai davvero parlato.
CECILIA RIANI 5^H