Emile Noharet
Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore di una vita
o guarirò una pena
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano
Emile Noharet è stato un brillante studente della nostra scuola: ha frequentato la sezione F PNI (Piano Nazionale di Informatica) nel quinquennio 2006/7 – 2010/11, conseguendo il diploma con il massimo dei voti.
Pur appassionato a tutte le discipline, la sua passione era Fisica e quindi si iscrisse a questa facoltà all’Università di Parma. Emile venne a conoscenza di quel male che lo stava consumando nel gennaio 2012. Appena due giorni dopo la diagnosi, si diresse in Liguria per aiutare le vittime dell’alluvione a Vernazza.
Perché se ci chiediamo chi fosse Emile, possiamo rispondere che egli rispecchiava esattamente la persona che ognuno di noi vorrebbe avere come amico. E anche in quell’occasione ha dimostrato la sua vocazione: aiutare il prossimo. Lui si precipitava ovunque ce ne fosse bisogno, senza pensarci due volte. Cercava, nel suo piccolo, di alleviare i dolori degli altri, dimostrando così un altruismo unico che da Francesco, suo amico fraterno, viene definito una “semplice presa di coscienza del fatto che io sono te e tu sei me”.
Ad oggi, ci stupisce la sua maturità nell’essere se stesso che gli ha impedito di cadere nella trappola della nostra società, dove tutto è incentrato sull’IO, sul dover emergere per forza anche a scapito degli altri. Per lui non esistevano differenze sociali o etniche, ma la bontà guidava il suo cuore e direzionava le sue scelte, rendendolo un ragazzo unico, raro, speciale.
Era “una persona incuriosita e rispettosa delle peculiarità dell'altro, priva di arroganza o superiorità, che mi dava l'idea di essere interessato alla persona in sé", come lo definisce Rocco, un altro dei suoi compagni di vita più intimi. Sembra la descrizione di un individuo non reale perché, ormai, in quanti hanno il coraggio di dedicare la vita agli altri? Veramente pochi. Sentir parlare di uomini o donne che donano tutti loro stessi non ricevendo nulla in cambio è un’utopia, un sogno fin troppo bello per essere vero.
Eppure lo scopo di queste righe non è quello di celebrare la vita di questo ragazzo, ma semplicemente di raccontarla. E quindi Emile era così: empatico, generoso, onesto, attento. Non voleva essere chiamato “eroe”, in modo da far capire a noi che tutti possiamo seguire il suo esempio e per farlo basterebbe avere coraggio, e di coraggio lui ne ha avuto.
Ha dato agli altri più di quello che la vita gli ha restituito, troncando i suoi sogni, i suoi progetti, il suo futuro, prima di quanto non fosse necessario. Perché tutti noi, prima o poi, cadiamo vittime di quell’orologio che scorre inesorabile sulle nostre esistenze, del tempo che è sempre troppo poco, e che improvvisamente può finire obbligandoci ad abbandonare questa terra. Com’è successo ad Emile che ci ha lasciati in quella calda estate del 2012.
Per ricordare sempre questo generoso ragazzo e per tenere vivo il suo esempio tra le nuove generazioni, nel nostro istituto è stato dedicato a lui il laboratorio di Fisica.
Ad Emile piaceva anche scrivere racconti. Ne abbiamo raccolti due che offriamo qui in lettura.
IL TAPPO DI SUGHERO
Un bambino entra in una stanza. Di fronte a lui, su un banco, poggia un tappo di Sughero; lui lo fissa sorridente e aspetta che sopra vi compaia una moneta. Dopo un po’ se ne va, ma tornerà ancora ad attendere ancora un poco. Chissà che qualcuno un giorno non si accorga di lui, e chiedendogli cosa aspetta in piedi davanti ad un tappo di sughero venga a conoscenza del suo desiderio, e lo avveri.
E se la stanza non esistesse, come invisibile, e mai nessuno potesse venire a conoscenza del desiderio del bambino? Lui continuerebbe imperterrito ad aprirla, convinto che esista.
E se la stanza venisse distrutta? Prenderebbe un altro tappo di sughero e lo appoggerebbe su un sasso in un parco, pronto a ricominciare. E verranno i momenti in cui entrerà irruento, griderà o fisserà imbronciato quel maledetto sughero, e scapperà via sbattendo la porta, per poi non riaprirla per molto tempo. Ma poi tornerà, ragazzo, magari ferito o dolorante e starà un po’ lì. E poi ancora adulto, sempre a fissarlo finché non si annoia; e anziano, ancora una volta sorridente sempre lì, davanti al suo tappo di sughero, fino al giorno in cui non la aprirà più, perché avrà preso il volo verso una nuova avventura.
IL VENTO DELLA SOLIDARIETA’
(Testo elaborato da Emile nel 2011 per l’anno europeo del volontariato)
Sfogliando un giornale nella quotidianità della vita, tra le scritte e i colori delle pubblicità, tra l'intrico di parole che confondono la vista, capita a volte divedere la foto di un dottore in camice bianco che abbraccia una bambina, lui bianco lei nera, entrambi un sorriso che nessun testimonial di cosmetici può eguagliare. Ti soffermi allora ad osservarli, così felici, e nasce spontaneo un sorriso che sale da dentro, che vuole uscire per unirsi al loro. Non c'è alcun dubbio: tra tutte le azioni umane quella della solidarietà è la più bella.
Quell'uomo, partito verso una terra che nulla ha da offrire se non distruzione e desolazione, prodiga la sua vita al servizio di quella di altri, cercando in cambio solamente l'unica grande riconoscenza del sorriso di un bambino. E ti chiedi perché lo ha fatto, cosa lo ha spinto ad andare lontano a cercare una felicità inesorabilmente legata al destino di un altro essere, ad allungare la propria ala per accogliere chi credeva di averle perse. La sua è una missione di salvezza, la volontà di permettere a quella bambina di crescere, perché troppo simile ad un fiore in un deserto. Ma non è eroe, no, è solamente umano. È chi lo chiama eroe che si solleva dall'impegno di essere semplicemente e naturalmente umano. Il contesto in cui è posta la fotografia crea un forte contrasto: è inserita fra un articolo sulla borsa di Wall Street e la pubblicità di un crema per la pelle.
È proprio una società di immagine, dove è tutto una corsa per il successo e le scelte importanti rischiano di andare perdute nell'oblio, sommerse sotto onde di parole vuote, come questa fotografia nella rivista. E' una piccola azione che non fa notizia in questa parte del mondo, tanto è assediata da stimoli all'insegna della spettacolarità che provengono dalle fonti d'informazione e di intrattenimento; stimoli che spingono a cercare l'auto migliore, il telefono migliore, i vestiti migliori per una vita migliore. E allora non si vede che il vero tesoro non è nei moderni miti del successo, della prevaricazione e dell'affermazione personale, ma nel rapporto con gli altri, nella condivisione. Questa porta con sé infinita ricchezza, una ricchezza fatta di ricordi, pensieri, emozioni e soprattutto sogni. Perché i sogni, quando condivisi, possono diventare realtà, una realtà che nasce ed è alimentata dai suoi sognatori. La civiltà nacque dacché comparve nell'uomo la pietà per i suoi simili, e la solidarietà contro un infausto destino.
Questa unione fu forse dettata da mera necessità, da istintivo opportunismo, ma è impossibile ridurre l'amore che unisce i simili a un tale utilitarismo, e cancellare le emozioni che, per quanto indimostrabili, si percepiscono intensamente nel legame affettivo; ed è impossibile negare il sentimento di empatia che unisce l'umanità, quella capacità innata che permette di sentire quello che prova la persona che ci si trova di fronte, e di soffrire o gioire insieme a lei. Proprio grazie all'empatia ciascun uomo può comprendere l'umanità tutta, e viceversa, così che è portato a desiderare la felicita degli altri e quindi infine la sua. ll volontariato è manifestazione di questa condizione umana, di una strenua volontà di mettersi al servizio del prossimo ponendo davanti alla propria l'esistenza altrui.
Questi sono i tempi dei grandi terremoti, dei disastri ecologici, delle guerre che mietono tante vite, vittime di un fato spietato o dell'inesauribile follia umana; essenza allontanarsi troppo nelle nostre grandi metropoli che ostentano perfezione e felicità su enormi cartelloni pubblicitari, si trovano le vittime della società, schiacciate da un'ipocrisia che le rende schiave, le usa e infine le dimentica. Ora più che mai è necessario vedere giovani che si alzano per andare incontro al proprio futuro, consapevoli che con la loro energia possono cambiarlo, e a dimostrare che siamo ancora nel tempo della vita, mentre quello della sopravvivenza non può ancora scrivere la storia.
Ora più che mai è necessario guardare oltre la propria esistenza per far sì che tutti abbiano la possibilità di sognare, e di realizzarli quei sogni, perché sono la speranza che eternamente muove la vita, solo “l'amor che muove il sole e l'altre stelle”.